venerdì 3 aprile 2009

Perché, in Italia, la pubblicità fa schifo?

Tutti si lamentano che la pubblicità fa schifo. Le agenzie si lamentano perché i creativi si lamentano. Gli account si lamentano perché i creativi si lamentano perché non possono essere creativi. Il cliente si lamenta con gli account perché non è il caso di osare tanto. Così tutti si lamentano, nessuno rischia, nessuno innova ed eccoci tutti ancora qui ad aspettare gli anni ’80.
Le agenzie di pubblicità non sono degli studi di grafica agli ordini del cliente, pronte ad eseguire. Se un’azienda si rivolge ad un’agenzia, il teorema dovrebbe essere questo:

Io (azienda) produco ma non so comunicare → Tu (agenzia) comunichi quello che produco nel modo migliore → Parliamo di una linea comune → Troviamone una che soddisfi entrambi.

Ma la realtà è diversa. Spesso si scorda la parte “che soddisfi entrambi”. Così ci si impiglia in un sistema vecchio e puzzolente, in cui chi paga ha il diritto di decidere anche su ciò che non gli compete. Un po’ come il vecchio miliardario che compra un viaggio spaziale. Ma di lavoro non fa l’astronauta.
Non sto dicendo che il cliente debba pagare, tacere e subire.
Ma una volta concordata una direzione, dovrebbe fidarsi, rischiando. Succede così col proprio partner, perché non è così anche nel lavoro? Il cliente non è un partner?
Il nostro non è un lavoro facile, anche se la parola “creativo” riporta a perigei tanto distanti da un approccio scientifico, costruttivo e strategico in favore di una professione votata all’intrattenimento.
Questo è un serpente che si mangia la coda. E vi spiego perché.
Anzi, io lo so. Spiegatemelo voi.

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